La famiglia Travaglini, a Gattinara, interpreta il vitigno principe del Piemonte in un affascinante terroir, con vista sul Monte Rosa. Questa è la storia dell’altro Nebbiolo e di una iconica bottiglia “storta”.
Giuseppe Costa, patron e sommelier del Ristorante Cavalluccio Marino di Lampedusa, è Lampedusano DOC, ma, cresciuto fino alla maggiore età a Torino, conserva nei suoi ricordi gustativi un particolare interesse per il vitigno principe del Piemonte, il Nebbiolo. Così nella sua cantina Diapason trovano spazio grandi bottiglie di Langa, ma anche vini di un Piemonte vinicolo meno conosciuto, quello ai piedi del Monte Rosa. In particolare, alcune bottiglie “storte” potrebbero catturare la vostra attenzione. Capiamo insieme di cosa si tratta!
Gattinara, una DOCG antica e un terroir vulcanico
“Poca gente in giro; ma animazione alle soglie delle osterie, alle finestre, ai portoni. Un’aria di benessere, di confidenza, di vita gentile ed antica. Il sapore… eh be’, il sapore pensato, immaginato, sognato in un sorso del vino che danno le colline intorno”.
Era il 1959, e con queste parole il giornalista, e grande appassionato di vino, Mario Soldati descrive il paese di Gattinara nel suo racconto “Un sorso di Gattinara”. Da allora non molto è cambiato, Gattinara è ancora un piccolo borgo, fulcro dell’omonima regione vinicola caratterizzata dalla produzione di un Nebbiolo buonissimo, localmente soprannominato Spanna.
I vigneti si distendono a perdita d’occhio lungo una conca collinare che fa da sfondo al paese. Questa posizione naturale delle colline determina un microclima “magico”, adattissimo per la viticoltura. Le imponenti Alpi, alle spalle di queste colline, proteggono le vigne dalle correnti fredde provenienti dal Nord, lasciando passare una brezza leggera che mitiga i caldi estivi e dona ai vini di questa zona la loro eleganza tipica.
Inoltre, anche il sottosuolo, a Gattinara, ha molto da raccontare. Nel territorio della Valsesia, infatti, circa 290 milioni di anni fa, sorgeva un vulcano attivo il cui collasso ha formato un’enorme caldera di oltre 13 chilometri di diametro. I resti di quelle antiche eruzioni hanno arricchito la terra di importanti elementi capaci di tradursi nella caratteristica mineralità di questi vini, gli unici Nebbioli da suolo vulcanico.
Per queste eccezionali caratteristiche geografiche e per la qualità del vino, Gattinara è stata una delle prima prime DOC d’Italia, diventata DOCG nel 1990. Il disciplinare del Gattinara richiede lunghi tempi d’attesa – 35 mesi per il DOCG e 47 mesi per la Riserva – e ai produttori è consentito unire alla Spanna fino a un dieci percento di altre uve rosse locali Vespolina e Uva Rara.
Un grande interprete per un grande territorio
Come spesso accade, un importante areale vinicolo è collegato ad un produttore che da sempre ha creduto nel suo potenziale. Nel caso del Gattinara, il nome di riferimento è senz’altro quello della famiglia Travaglini che ha contribuito in maniera significativa alla valorizzazione del suo territorio.
Tutto comincia nella seconda decade del 1900 quando Clemente Travaglini costruisce la sua cantina nel centro del paese, convinto dell’interesse che quel vino avrebbe potuto suscitare nel pubblico.
Figura chiave nella storia della famiglia Travaglini è quella di Giancarlo che nel 1958 eredita l’attività del nonno fondando l’azienda Travaglini e segnando una decisa svolta imprenditoriale. Pur rimanendo fedele custode delle tradizioni, Giancarlo inizia ad investire per introdurre le più moderne pratiche agronomiche e di vinificazione al fine di migliorare la qualità del prodotto.
Arrivano così i primi premi e riconoscimenti, nazionali e internazionali, che consacrano la figura di Giancarlo come grande produttore e imprenditore vinicolo, accanto alle sue etichette più rappresentative come il Gattinara Tre Vigne.
La figlia Cinzia si appassiona al lavoro del padre e decide di seguirlo nel suo percorso imparando i suoi segreti e, soprattutto, condividendo la sua visione illuminata. Oggi insieme a Massimo Collauto e ai loro figli mantiene vivo il ricordo di Giancarlo e soprattutto continua a produrre grandi Nebbioli che lo renderebbero ancora orgoglioso della sua terra e della sua famiglia.
I vini di Travaglini e quella bottiglia “storta”
L’azienda Travaglini si sviluppa in un complesso di 50 ettari vitati dislocati attorno al comune di Gattinara ad un’altitudine di circa 400 metri sul livello del mare. La raccolta delle uve avviene parcella per parcella e le masse in cantina seguono vinificazioni “in purezza”. Le macerazioni sono lunghe, in acciaio, quindi il vino passa a riposare in grandi botti di rovere di Slavonia, tutto come vuole la tradizione.
Il Gattinara di Travaglini è prodotto da solo uve Nebbiolo e si declina principalmente in tre etichette: il Gattinara Classico, il Gattinara Riserva e il Gattinara Tre Vigne. Tre diverse interpretazioni di un terroir affascinante, e a tratti indimenticabile, che potrete degustare dalla Cantina Diapason del Ristorante Cavalluccio Marino di Lampedusa insieme anche al curioso metodo classico Nebolè, fortemente voluto da Cinzia Travaglini e prodotto a partire dal 2010 utilizzando solo la punta dei grappoli migliori di Nebbiolo, vinificata in bianco.
Le innovazioni portate da Giancarlo Travaglini all’azienda non si sono limitate alle pratiche di vigna e cantina ma hanno coinvolto anche l’aspetto del design con la realizzazione di sua mano di una bottiglia molto particolare, “storta”, utilizzata ancora oggi.
Una speciale bottiglia-decanter pensata per essere facilmente impugnata e per raccogliere, nella sua “pancia” sporgente, mentre si versa, i sedimenti naturali del vino. Il retro della bottiglia, inoltre, è quadrato per facilitarne lo stoccaggio in posizione distesa, la migliore per favorire l’invecchiamento del vino. Anche il colore del vetro, quasi nero, è pensato per proteggere il contenuto dai raggi della luce durante i mesi o anni di riposo.
Non mancarono critiche a questa curiosa scelta d’imbottigliamento aziendale. Oggi però sarebbe impensabile bere un vino Travaglini in una bottiglia diversa e prova ne è il fatto che, quando nel 1982 furono prodotte dall’azienda anche normali bottiglie bordolesi, queste fecero molta più fatica a lasciare i magazzini. Ormai era, ed è, amore solo per la bottiglia storta!