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Sassicaia: oltre il Sangiovese

Un vino iconico, una grande storia toscana nata dai sassi, dai matrimoni, dai fortunati incontri e da una incredibile intuizione.

Quante volte avrete sentito parlare di Chianti, di Nobile di Montepulciano o di Brunello? E’ il vitigno Sangiovese ad accumunarli tutti e per questo ad esser il vino rosso più conosciuto della Toscana. 

Esiste però anche una Toscana che ha dato i natali ad uno dei vini italiani più famosi al mondo che – udite udite – non contiene neppure una goccia di Sangiovese: il Sassicaia, la Toscana oltre il Sangiovese.

E come ogni grande cantina quella del Cavalluccio Marino di Lampedusa non poteva non conservare preziose bottiglie di diverse annate di questo capolavoro italiano. Un grande rosso figlio dei sassi, dei matrimoni, dei fortunati incontri e di una incredibile intuizione.

Dalle paludi ai cipressi che alti e schietti 

Proviamo a delineare innanzitutto le coordinate geografiche del grande affare di famiglia che andiamo a raccontare. 

150 chilometri a Sud di Firenze, 95 a Nord di Grosseto, 9 chilometri dalla costa del Mar Tirreno: ecco dove collocare il piccolo borgo di Bolgheri. Sì, proprio quello dei cipressi “alti e schietti” descritti dal poeta Giousè Carducci. Ma ci arriviamo tra un attimo. 

Fin dall’antichità, la zona è stata ricca di insediamenti, i più importati certamente quelli etruschi che qui si insediarono per secoli diffondendo anche viticoltura, ben prima dei Greci nel Sud d’Italia e ben prima dell’Impero romano. Bolgheri, quindi, è una delle prime aree in Europa in cui la vite sia stata coltivata!

Un entroterra per certi versi difficile, con ampie paludi, che attorno all’anno mille divenne dominio longobardo e tra loro Walfredo, capostipite della famiglia della Gherardesca (quella del dantesco Conte Ugolino per intenderci!) che da quel momento in poi avrebbe sempre guidato lo sviluppo del territorio. 

Infatti, molti secoli più tardi, fu proprio il generale Guidalberto della Gherardesca a piantare a metà dell’800 il famoso viale di cipressi – oggi monumento nazionale – e ad occuparsi di dare nuovo slancio alla viticoltura, soprattutto nell’area pianeggiante di San Guido, mediante anche numerose opere di bonifica.

Bolgheri, un affare di famiglia.

Gli avanzamenti agrotecnici di Guidalberto furono bruscamente interrotti dalla nuova e invincibile malattia “americana” della fillossera che in meno di cento anni spazzò via i vigneti di quasi tutt’Europa.

Tornati quasi al punto di due secoli prima, come spesso avviene nel corso della Storia, a ridare slancio alla vita di Bolgheri e dei Della Gherardesca c’è un matrimonio, anzi due.

Nel 1930 il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, piemontese da un lato e romano di discendenza Chigi dall’altro, si trasferì in Toscana come sposo della Contessa Clarice della Gherardesca. Nello stesso anno, la sorella di Clarice, Carlotta, si unì in matrimonio al Marchese Niccolò Antinori. 

Ed è così che nello stesso anno le sorti di Bolgheri divennero un grande affare di famiglia, infatti, nel corso del Novecento, il binomio Incisa-Antinori, tra solidarietà e piccoli conflitti, promuoverà la trasformazione di un’area vocata alla viticoltura fin da tempi antichissimi, a qualcosa che al giorno d’oggi ha tutti i connotati del mito. 

Sassicaia, l’intuizione di mescolare i vini.

Mario Incisa della Rocchetta, forte degli studi in agraria a Pisa e pervaso dal sogno di mettere in atto un’agricoltura all’avanguardia nel pieno rispetto della Terra, trovò a Bolgheri il paesaggio perfetto per la sua realizzazione. 

Infatti, da grande appassionato di vino francese, in particolare di Bordeaux, Mario intuì una singolare somiglianza morfologica tra la zona di Graves e il terreno ricco di sassi della Tenuta San Guido della moglie Clarice. Decise quindi, nel 1942, in una zona dove i vini rossi che si producevano erano per lo più rustici, di provare ad impiantare cloni italiani di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc, selezionati dalla tenuta del Duchi Salviati a Migliarino. 

Mario decise, quindi, di abbandonare lo stile in purezza tipico dei gradi vini piemontesi, fino ad allora i più apprezzati sul mercato, per sfruttare invece la francese arte di “mescolare i vini”, ovvero la pratica di assemblare, al termine della vinificazione, studiate percentuali di Cabernet Sauvignon e Franc nel cosiddetto taglio bordolese.

A partire dal 1944 ottenne le prime bottiglie del suo nuovo vino che, per i caratteristici ciottoli presenti nel terreno, decise di chiamare Sassicaia. Le prime annate andarono ad esclusivo consumo della famiglia, fin quando il figlio Niccolò intuì il potenziale delle bottiglie del padre e chiamò in azienda un promettente enologo piemontese che lavorava per suo cugino Piero Antinori, Giacomo Tachis, il quale cominciò ad applicare le sue conoscenze sui vigneti di San Guido.

Diversi e speciali… Supertuscan

Il taglio stilistico di Tachis, amante della fermentazione malolattica e della barrique, plasmò l’originale intuizione del Marchese. Frutto di questa promettente collaborazione tra menti e palati sopraffini è la l’annata di Sassicaia del 1968, la prima ad entrare in commercio.

Appena due anni dopo il critico Gino Veronelli contribuì alla diffusione del Sassicaia definendolo: “Ben vestito e brillante, bouquet fitto e contegnoso in sé, di non comune scontrosa eleganza … nerbo consistente nella stoffa ben strutturata.” 

Ma era scritto nel destino del Sassicaia che il suo successo superasse i confini nazionali. Infatti, con l’annata 1985 arrivarono, per la prima volta per un vino italiano, i 100 centesimi assegnati da Robert Parker, grazie ai quali il vino del Marchese firmò il suo definitivo ingresso nella Storia.

Un successo che presto in molti produttori vollero replicare iniziando a chiamare Giacomo Tachis in consulenza presso le loro aziende. La famiglia del Sassicaia così, in pochi anni, iniziò ad avere molti altri fratelli sparsi in diverse zone della Toscana, come Solaia e Tignanello.

Secondo uno di quei tipici paradossi tutti all’italiana, nonostante il successo registrato, questo nuovo tipo di vino poteva essere commercializzato solo come IGT, in quanto risultava impossibile farlo rientrare nei disciplinari di produzione della zona. Così, per il mercato nazionale, ma per lo più estero, venne coniato il termine di fantasia Supertuscan: vini diversi, più possenti e muscolosi del tradizionale vino toscano e per natura dotati di fascino e di un potere superiore alla media, come dei veri super eroi del vino.

Anche in Italia, un modello alla francese

Si dovrà attendere quasi trent’anni per veder riformata la DOC Bolgheri affinchè renda ammissibili, tra gli altri, vini rossi che utilizzano uve come Cabernet e Merlot. Allo stesso tempo, un ruolo di primo piano viene riservato proprio al capostipite dei Supertuscan, definendo una speciale Sottozona Sassicaia che precisi i limiti territoriali a ridosso dell’abitato di Bolgheri in cui poter produrre questo vino. 

Un distinguo importante riservato ad uno dei vini rossi più importanti d’Italia che verrà ultimato con una decisione più unica che rara nel panorama del vino italiano: nel 2013 Bolgheri Sassicaia diventa DOC a se stante. Sul modello dei grandi cru francesi, i terreni della denominazione Bolgheri Sassicaia ricadono tutti nella Tenuta San Guido e sono ad utilizzo esclusivo della famiglia Incisa della Rocchetta per il suo vino corrispondente.