Esponente di una delle famiglie più potenti d’Italia, Vincenzo Florio sbarcò a Marsala con un chiaro obiettivo, scardinare il monopolio inglese sulla produzione e commercializzazione del vino di Marsala. Nascevano così, nel 1833, le Cantine Florio e in esse il primo Marsala 100% italiano.
Oggi il Cavalluccio Marino di Lampedusa custodisce una ricca collezione di annate uniche, scopriamone insieme il valore, non solo nel gusto!
È il 1773 quando il mercante inglese John Woodhouse sbarca sulle coste della Sicilia nord occidentale, viene a conoscenza del vino locale chiamato il “perpetuo”, se ne innamora e decide di spedirlo via mare in Inghilterra aggiungendovi acquavite “alla maniera del Madera”. Nasceva così il vino Marsala come lo conosciamo oggi. Cinquant’anni dopo è merito del grande italiano Vincenzo Florio la nascita della prima cantina italiana produttrice di Marsala, Cantine Florio, un luogo dal fascino incredibile giunto intatto fino ai giorni nostri.
Per cinquant’anni, un affare inglese
Molto spesso i fatti della grande Storia hanno ripercussioni sugli usi e costumi quotidiani, e perché no anche su quello che oggi siamo abituati a mangiare e a bere. È proprio il caso del Marsala.
Nel 1806, l’inasprimento del conflitto tra la Francia e l’Inghilterra spinse Napoleone ad emanare il famoso Blocco Continentale: nessuna nave inglese poteva attraccare in porti controllati dai francesi.
Una mossa strategica, ma con evidenti ripercussioni pratiche: basta vino di Bordeaux, di Porto e di Jerez per i salotti di Londra, tutti porti sotto il dominio francese. Non c’è dubbio, era proprio il caso di trovare qualcosa di nuovo da bere e il vino “inventato” da Woodhouse sulle coste della Sicilia borbonica parve allora un’eccellente alternativa. Nel decennio successivo, non a caso soprannominato “decennio inglese”, molti mercanti britannici si recarono a Marsala, tra cui Benjamin Ingham e i suoi nipoti Whitaker, nomi cruciali nella storia di questo prodotto.
Sarà proprio Ingham, infatti, con la sua cantina, ad aggiudicarsi il primato delle vendite per circa mezzo secolo e, al tempo stesso, a trasmettere una “impostazione capitalistica” alla campagna marsalese e forse a tutta la Sicilia. Il Marsala per Ingham non doveva più essere solo un’imitazione del Madera e dunque era necessario curare nel dettaglio ogni fase della produzione. A questo scopo stilò attorno al 1840 un sintetico decalogo intitolato “Brevi istruzioni per la vendemmia all’oggetto di migliorare la qualità dei vini” nel quale spiegava ai contadini come gestire la vigna e la raccolta al fine di preservare la fragranza dell’uva e del mosto. La qualità prima di tutto, così iniziava a delinearsi il Marsala moderno, con la sua precisa identità scolpita proprio dalle caratteristiche pedoclimatiche uniche del luogo in cui veniva prodotto.
La sfida di Vincenzo Florio
Verso gli anni trenta dell’800 il fermento sulla costa di Marsala era ormai sulla bocca di tutti così come il successo commerciale del vino che vi si produceva. In quegli anni, l’imprenditore di origini calabresi Vincenzo Florio, cresciuto a Palermo nella drogheria del padre, intuì la possibilità di successo che poteva derivare da un investimento in terra marsalese e decise di acquistare un terreno proprio a metà strada tra l’opificio di Woodhouse e quello degli Ingham-Withaker.
Battere il monopolio britannico era certo un progetto ambizioso, ma Vincenzo Florio sapeva di poter sostenere i primi, difficili anni grazie agli altri commerci che la sua famiglia continuava ad operare, soprattutto nell’ambito del commercio spezie, della pesca e dell’industria dello zolfo. I capitali suoi e della sua famiglia vennero quindi investiti nella creazione di uno stabilimento produttivo all’avanguardia, regolato in maniera ferrea in ogni fase di produzione del Marsala e fortemente indipendente in quanto dotato di un proprio alambicco per la distillazione dell’acquavite per la fortificazione e di un proprio accesso al mare da quale, in pochi anni, un numero sempre crescente di navi – la famiglia Florio vantava infatti anche di un arsenale mercantile non indifferente – salpavano cariche di Marsala verso i mercati internazionali, ma anche verso quello italiano, totalmente ignorato dai commercianti inglesi, e che si rivelò cruciale per fare di una sfida ambiziosa una sfida vinta. Appena vent’anni dopo la fondazione, Cantine Florio era già il secondo produttore di vino Marsala, ma, pochi anni dopo, in seguito all’acquisto dell’azienda e del marchio Woodhouse, divenne definitivamente il primo produttore al mondo.
Il Marsala è un atto d’amore
Pensare che gli ingredienti del Marsala siano solo vino e acquavite è come ridurre un capolavoro pittorico a del semplice olio su tela. Molti altri fattori influiscono infatti su ogni bottiglia di Marsala: il luogo, l’ossigeno, il tempo sono a disposizione dell’enologo che, al pari di un artista, li modula sulla base della sua esperienza al fine di creare, da ogni botte, un prodotto indimenticabile. Per questo la produzione del Marsala è un vero e proprio atto d’amore. Non a caso, infatti, il primo passaggio che segna la nascita di un vino “atto a dare Marsala” viene chiamato proprio “innamoramento” e consiste nell’aggiunta dell’alcol. Un passaggio cruciale che determina la futura tipologia di Marsala tra Vergine e Superiore. Nel primo caso, al termine della fermentazione, si aggiungerà al vino solo alcol di origine vinica, nel secondo si mescola al vino anche mistella e mosto cotto. La mistella, ovvero mosto bloccato in fermentazione dall’aggiunta di alcol, è utilizzata per dosare il grado zuccherino, il mosto cotto per arricchire aromaticamente ed organoletticamente il futuro Marsala.
Dopo l’innamoramento, è la cantina ad ospitare la storia d’amore e nel caso del Marsala Florio si tratta di oltre due ettari di pavimenti in tufo adiacenti al mare stipati con oltre 3000 botti di rovere di varia dimensione: una vera e propria città del Marsala!
All’interno della cantina Florio nulla è lasciato al caso: tutto ciò che avviene all’esterno come le piogge intense, le burrasche, le estati roventi sono respirate attraverso il legno dai Marsala lasciati ad affinare, ognuno secondo una precisa “geografia dell’invecchiamento”. Fondamentale infatti, nella creazione di ogni Marsala Florio, è la posizione della sua botte d’affinamento rispetto al mare che più è vicino più abbassa la temperatura ambientale, accrescendo invece l’umidità “salmastra” e viceversa. Con il passare degli anni, temperatura, umidità e grandezza del contenitore influiranno anche sulla cosiddetta “parte degli angeli”, ovvero quella quota di Marsala che naturalmente evapora nel corso degli anni e il cui controllo da parte dell’enologo rappresenta un’ulteriore firma al futuro Marsala che si vorrà imbottigliare.
Florio e il Cavalluccio Marino
Come non ci si bagna mai nello stesso fiume, non si beve mai due volte lo stesso Marsala Florio e lo sa bene Giuseppe Costa del Cavalluccio Marino di Lampedusa. Da ragazzo ascoltava con curiosità le storie del nonno che raccontava di anni passati, della grande famiglia Florio, dei suoi commerci, della sua influenza nel fare della Sicilia una grande Sicilia a partire dai suoi prodotti, come il tonno di Favignana. Da adulto, appassionatosi di vino, ha cominciato a ricercare i fasti della Sicilia dei Florio attraverso la ricerca di annate introvabili, imbottigliamenti speciali, etichette quasi museali di Marsala come le riserve risalenti al 1939 e al 1944. Bottiglie che oggi creano all’interno della sua cantina Diapason una collezione d’eccezione a disposizione di veri appassionati di questo prodotto così unico ed affascinante.
Una volta accomodati al tavolo, a fine cena, chiedete a Giuseppe di concedervi un assaggio di questo oro siciliano: finirete trasportati sull’onda dei ricordi in una Sicilia fatta di sfarzo e di infinito coraggio, perché come spesso capita con i grandi vini, la loro storia non si limita al contenuto della bottiglia.