Categorie
Lampedusa

Lampedusa a settembre: l’estate non è finita!

L’Isola di Lampedusa è il punto più meridionale d’Italia. Questo le regala un clima caldo e la possibilità di godersi il mare e la spiaggia fino a fine ottobre.

Il mese di settembre è ideale per scoprire Lampedusa perché le temperature sono ancora calde, l’acqua è piacevole ed il numero di turisti inizia a diminuire.

QUANDO ANDARE A LAMPEDUSA?

Settembre secondo noi è uno dei mesi migliori per visitare l’isola di Lampedusa: il sole è caldo, il mare cristallino, le spiagge iniziano a svuotarsi. I colori dei tramonti cominciano a mutare: i gialli si attenuano e gli arancioni si raffreddano regalando nuove sfumature rispetto a quelli estivi.

Settembre a Lampedusa consigli

CHE TEMPERATURE SI TROVANO A SETTEMBRE  A LAMPEDUSA?

Il clima di settembre sull’isola di Lampedusa è generalmente caldo, le giornate si accorciano leggermente rispetto ai mesi estivi e la sera si può cenare all’aperto. 

Le temperature di settembre si aggirano tra i 24° e i 28°C, un pochino più miti rispetto ai mesi estivi.

IL MARE A SETTEMBRE È CALDO?

La temperatura del mare è ottima, non vedrete l’ora di tuffarvi!

QUANTI TURISTI CI SONO A SETTEMBRE A LAMPEDUSA?

Dipende dagli anni, ma generalmente settembre è tranquillo, soprattutto dalla seconda metà del mese.

COSA CONSIGLIATE DI PORTARE IN VALIGIA A SETTEMBRE?

Sicuramente il costume da bagno e il necessario per la spiaggia. Di giorno fa caldo, troverete temperature estive. Per la sera, soprattutto se siete freddolosi/e, consigliamo di mettere in valigia un giubbotto di jeans, un giubbotto leggero o comunque un maglioncino da poter utilizzare in caso ne sentiate il bisogno.

Lampedusa a settembre temperatura consigli

COME RAGGIUNGERE LAMPEDUSA A SETTEMBRE?

Il modo più comodo è quello di utilizzare l’aereo. Molte compagnie volano su Lampedusa dai maggiori aeroporti italiani. Consigliamo di consultare questa pagina come arrivare a Lampedusa per verificare le compagnie e gli aeroporti di partenza perché a settembre ci sono ancora voli diretti ma non tutte le compagnie aeree coprono tutto il mese.

COSA FARE A LAMPEDUSA NEL MESE DI SETTEMBRE?

Le attività che potete compiere sono tante. L’estate qui da noi non è ancora finita!

Potete esplorare l’isola cambiando spiaggia ogni giorno, affrontare qualche semplice passeggiata per ammirare scorci indimenticabili, concedervi una giornata in barca per scoprire baie non raggiungibili dalla terra ferma, visitare il Centro di recupero Tartarughe dell’isola, godervi il tramonto presso Capo Ponente (Albero Sole) ed esplorare la cittadina di Lampedusa.

Lampedusa a settembre

STAI PENSANDO A UN ALTRO PERIODO? 

Abbiamo pensato di aiutarti a scegliere il periodo più adatto a te, prova a leggere anche:

Categorie
Cantina

Vini di Sicilia: il continente Tasca d’Almerita

Tante sono le etichette siciliane presenti nella selezione vini di Giuseppe Costa al Cavalluccio Marino di Lampedusa, per permettere agli ospiti di scegliere e degustare ogni sfumatura di Sicilia. Da quella iodata e salmastra a quella ossidativa, passando da quella vulcanica fino a quella più mediterranea: perché la Sicilia non è un’isola, ma un continente intero.

Da Regaleali, una storia antica e familiare
Tra le realtà presenti in Diapason, la cantina del ristorante Cavalluccio Marino, un’azienda in particolare interpreta alla perfezione proprio questo concetto di isola-continente tanto caro a Giuseppe Costa: Tasca d’Almerita.

Si tratta di una delle più antiche cantine siciliane: era il 22 maggio 1830 quando per “once ventiduemila ottocento trentuna”, come riportato da documenti dell’epoca, viene venduto ai fratelli Lucio e Carmelo Mastrogiovanni Tasca un terreno di 1200 ettari in località Regaleali che da quel momento diventerà il cuore pulsante del microcosmo Tasca. Da allora, ben otto generazioni di illuminati imprenditori si sono passati il testimone dell’azienda e con esso quello della custodia e della valorizzazione del loro incredibile territorio.

Vino siciliano Tasca d'Almerita

Tasca d’Almerita: tutela del territorio e del suo patrimonio storico, culturale ed enologico
A partire dai paesaggi rurali di Regaleali, Tasca d’Almerita ha reso la sua missione la tutela del territorio, in particolare di quattro diversi ecosistemi ognuno con il suo corredo culturale ed enologico.

Nel 2001 la ricerca di territori vocati e con una forte personalità ha portato i Conti Tasca ad interessarsi al territorio di Salina, nelle isole Lipari, e ad avviare lì l’attività di recupero e tutela della Malvasia autoctona di questo piccolo arcipelago in quella che oggi è la Tenuta di Capofaro.

E poteva passare inosservato l’Etna? O come lo chiamano i catanesi “A Muntagna”, al femminile perché madre temibile e al tempo fertilissima: qui, sul versante nord di uno dei vulcani attivi più importanti al mondo, i Conti Tasca fondano Tascante e scommettono sui grandi autoctoni Carricante, Catarratto e Nerello Mascalese.

E il patrimonio dei vitigni autoctoni da custodire ben si declina al patrimonio storico e culturale siciliano. Lo testimonia l’ambizioso progetto affidato a Tasca d’Almerita dalla Fondazione Whitaker presso l’antica colonia fenicia di Mozia. Questo sito archeologico di fronte alle Saline di Marsala, infatti, comprende anche 12 ettari di vigneti storici da cui si pensa sia ripartita la viticoltura siciliana dopo la piaga della fillossera e dove è stato probabilmente impiantato il primo vigneto sperimentale di una varietà, ibrido di Catarratto e Zibibbo, che successivamente verrà battezzata con il nome di Grillo.

Negli anni ’80 la sfida degli internazionali: sempre un passo avanti, per il futuro di un grande vino siciliano

Fiducia nelle potenzialità delle uve autoctone siciliane insieme a sperimentazione e tecnicismo sui grandi vitigni internazionali. Questa è la visione di Tasca d’Almerita, almeno dal 1979 quando, in segreto da suo padre, Lucio Tasca pianta a Regaleali i primi filari di Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Pinot Noir e Sauvignon Blanc scommettendo sulle capacità del territorio siciliano di esprimere al massimo le caratteristiche di queste famose varietà.

Tasca Almerita, nella carta vino ristorante Cavalluccio Lampedusa

In quest’ottica viene annessa, nel 2008, la Tenuta Sallier de la Tour nella DOC Monreale, di proprietà del cugino Filiberto principe di Comporeale, e oggi fondamentale costola aziendale dedicata al Syrah.

Oggi, le nuove sfide climatiche e ambientali: Tasca e SOStain
Oggi, a portare avanti il sogno enologico di Lucio Tasca, ci sono i fratelli Alberto e Giuseppe impegnati in particolare a rendere quanto più sostenibili tutte le vaste tenute di famiglia, al fine di non contribuire al peggioramento delle attuali condizioni di inquinamento e surriscaldamento. Gestione sostenibile del vigneto, nessun diserbo chimico, difesa della biodiversità, utilizzo di materiali ecosostenibili, riduzione delle emissioni e molto altro: ecco cosa significa produrre vino nel rispetto del territorio per Tasca d’Almerita. Un approccio serio e responsabile che si traduce nell’importante certificazione SOStain riportata in etichetta.

Tasca d’Almerita, un’azienda da sempre in prima linea per la valorizzazione della Sicilia tutta. Vini espressivi che Giuseppe da anni colleziona nella sua cantina Diapason andando così a consolidare un rapporto lavorativo di stima e fiducia reciproci, tanto che la famiglia Tasca nel 2020 ha scelto di nominarlo Brand Ambassador del marchio e di avviare un ricco ventaglio di collaborazioni.

Due sono le etichette che Giuseppe ama raccontare come simbolo di questa eccellenza siciliana, entrambe afferiscono alla tenuta primogenita di Regaleali e hanno come protagonista lo Chardonnay, il vitigno bianco tra i più celebrati e diffusi al mondo.

Una bollicina al femminile: Blanc de Blancs Almerita Contessa Franca
Uno dei vini con cui Giuseppe Costa ama accogliere gli ospiti del Cavalluccio Marino è la bollicina metodo classico Contessa Franca. Un Blanc de Blancs a cui vengono dedicati solo i grappoli migliori dello Chardonnay della singola parcella sabbiosa di Cava Rina, lavorati poi in cantina secondo i dettami del metodo classico e il cui lento affinamento è affidato ad una lunga permanenza sui lieviti di 60 mesi alla ricerca di complessità̀, finezza e longevità̀ in una bollicina elegante e di grande persistenza. Uno spumante di classe ed eleganza che non poteva essere che dedicato ad una moglie, madre e nonna che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di Regaleali.

Ristorante vino siciliano

Un francese che parla siciliano, o viceversa? Il Vigna San Francesco
Difficile per Giuseppe rispondere a questa domanda in merito allo Chardonnay storico di Tasca d’Almerita, un vino che lo inorgoglisce su potenziale enologico della sua terra e di cui gelosamente custodisce inestimabili verticali che arrivano fino all’annata 1998.

Infatti, il progetto Vigna San Francesco invece prende piede negli anni ‘80 quando Lucio Tasca decide di mettere a dimora in una parcella di appena 5 ettari barbatelle appositamente provenienti dalla Borgogna. Anche la lavorazione delle uve, raccolte a maturazione e lavorate in cantina con fermentazione e batonnage in botti di rovere con seguente affinamento in legno per 8 mesi, guarda alla tradizione d’oltralpe. L’intuizione risulta vincente e – dopo alcuni mesi di affinamento in bottiglia – una volta nel bicchiere Vigna San Francesco si rivela un vino elegante, ricco, sfaccettato, dalla lunga persistenza e dalla longevità sorprendente.

Tasca Almerita carta vini ristorante Lampedusa

Provare per credere. Non resta che fare visita al ristorante Cavalluccio Marino di Lampedusa per godere di queste prestigiose etichette custodite nella caleidoscopica cantina Diapason di Giuseppe Costa, ovviamente in abbinamento alle raffinate proposte gastronomiche della cucina di chef Giovanna Billeci.

Categorie
Cantina Ristorante

Giuseppe Costa e Diapason: l’accordo perfetto tra vino, musica e passione

Lampedusano doc, classe 1978, Giuseppe Costa è titolare insieme alla moglie Giovanna Billeci, del Cavalluccio Marino di Lampedusa. Con chef Giovanna che dirige la cucina, la sala è il regno di Giuseppe dove regala emozioni “accordando” le sue due più grandi passioni, la musica e il vino, nell’originale cantina Diapason di sua progettazione.

Giuseppe, un musicista ristoratore o un oste che ama la musica?

Domanda difficile a cui rispondere, oggi più che mai le mie due anime – quella di pianista e quella di ristoratore – viaggiano insieme unite da quella che è la mia passione per il vino che, così come la musica, è materia viva ed in continuo divenire.

Giuseppe Costa Lampedusa

E così hai scelto di unire le tue due passioni anche fisicamente, in una cantina molto originale.

Si, Diapason è un ampio spazio interrato che ho ricavato nel 2021 in quella che era la dispensa di Giovanna. Oggi invece è un’ampia cantina provvista anche di caveaux dove custodisco alcune bottiglie rare che ho la fortuna di avere. Ma soprattutto, per me, Diapason è un luogo capace di custodire la musica e il vino, insieme. Oggi la più grande soddisfazione è sentirmi dire da chi vi fa visita “Giuseppe questa non è una cantina, questa è la tua vita, il tuo mondo.”.

Una piccola isola nell’isola. Qual è il tuo rapporto con Lampedusa.

Vedi, come non potrei immaginare una vita senza vino e senza musica, così non potrei immaginare una vita senza Lampedusa. Questo paesaggio è scolpito in me, fa parte del mio DNA. Eppure, come ogni luogo molto isolato, Lampedusa non permette uno sviluppo normale ai giovani che ci abitano, troppe poche le occasioni di confronto, per questo ad un certo punto della propria crescita bisogna trovare dentro di sé il coraggio di salpare. E come l’ho fatto io ora lo stanno facendo i miei figli.

Quindi hai passato un’adolescenza nel continente. Dove hai deciso di trasferirti?

Una volta compresi quelli che erano i limiti di Lampedusa, la scelta di dove spostarmi è stata quasi automatica: da anni gran parte della famiglia di mia madre viveva già a Torino dove lavorava in Fiat e ho deciso di raggiungerla. Una volta in Piemonte, ho portato avanti quella che era allora la mia passione, quella per la musica e il pianoforte che studiavo privatamente, e dopo aver superato l’esame di ammissione, mi sono iscritto al Conservatorio Giuseppe Verdi. Sono rimasto a Torino per dieci anni.

E quando hai scelto di tornare a Lampedusa?

Diciamo che non ho proprio scelto. Terminati gli studi ho dovuto lasciare Torino per fare il militare, poi sono tornato a Lampedusa in estate, con ancora molti punti di domanda sul mio futuro e molti progetti che mi frullavano in testa. Arrivato l’inverno decisi di iscrivermi ad un corso di formazione organizzato dalla Regione: è stato lì che il destino ha fatto il suo gioco facendomi conoscere l’amore della mia vita, Giovanna. Da quell’incontro nulla è più stato come prima, e non sono più andato via.

Lampedusa e i vini di Sicilia

Possiamo dire che Giovanna ti ha riconciliato con Lampedusa e oggi è tua compagna non solo nella vita, ma anche sul lavoro. Come inizia la vostra avventura al Cavalluccio Marino?

Sì Giovanna mi ha decisamente riconciliato con questo luogo, mostrandomelo sotto una lente nuova. Lei, a differenza mia, dopo una breve parentesi a Genova è sempre stata a Lampedusa, tra i fornelli fin da adolescente, imparando dalla madre l’arte della cucina lampedusana in quella che era l’attività di famiglia: il Cavalluccio Marino appunto, che già esisteva dal 1976.

Quando l’ho conosciuta avevo appena avviato una piccola scuola di musica e il tempo libero che mi rimaneva lo passavo con lei al ristorante, arrivata la stagione estiva c’era bisogno di personale e fu naturale che mi prestassi, con la mia pochissima esperienza ma con tutto il mio entusiasmo, ad entrare a far parte della squadra. Ripensandoci ora è stato tutto così veloce, quasi fosse un percorso già scritto.

La lente nuova di Giovanna era dunque quella della ristorazione, quando hai capito che sarebbe diventato il tuo lavoro?

Come dicevo i primi anni sono stati di gavetta per me in quella che era la trattoria della famiglia di Giovanna. Un locale già molto rinomato, in cui veniva presentata nella maniera più onesta e sincera la cucina del territorio.

La svolta professionale è stata nel 2009 quando con coraggio abbiamo deciso di rilevare l’attività dai genitori di Giovanna e intraprendere il nostro cammino personale. È stato quello l’anno in cui capimmo insieme che era il momento di cambiare stile e forse anche di diventare adulti! Passavamo le notti a leggere e studiare quella che era la ristorazione nel resto d’Italia e del Mondo e appena potevamo investivamo i nostri risparmi per viaggiare, conoscere, imparare.

Ristorante con carta vini speciale a Lampedusa

Dalla più meridionale delle isole italiane uno sguardo internazionale, anche attraverso la carta del vino che parla tanto di Sicilia ma permette di viaggiare anche fino a paesi molto lontani.

Assolutamente. Ho scelto di sostenere la rivoluzione di Giovanna in cucina con una personale rivoluzione della proposta vini del Cavalluccio Marino iniziando a non limitarmi più alle proposte dei distributori, ma iniziando a visitare di persona i produttori e le loro cantine, prima naturalmente in Sicilia, poi nel resto d’Italia e all’estero.

Inserisco ciò che apprezzo sia dal punto di vista qualitativo che umano: la carta del ristorante Cavalluccio Marino oggi è la massima espressione di quello che sono e del mio percorso. E per questo la ritengo sempre una carta in divenire e che potrà sempre riservare nuove sorprese ai nostri ospiti.

Oggi, quindi, cosa pensi che sia il vino per te?

Il vino oggi, insieme alla musica, per me è vivo ed è vita. Come la musica è arrivato per caso nella mia vita, intrecciandosi al mio essere fino a non poterne più fare a meno. E non parlo solo dal punto di vista degustativo, senz’altro importante, ma mi riferisco al fatto che il vino è per me continua fonte di conoscenza. Come Giovanna passava le notti a studiare i piatti nuovi da presentare nel menù, così io su internet mi perdevo nello studio delle etichette, dei vitigni e mi appassionavo alle storie affascinanti di chi lo produce pianificando i viaggi per andare a toccare con mano queste realtà vicine e lontane. Il lato umano per me è fondamentale.

Ma torniamo a Diapason, la tua cantina. Siamo curiosi, com’è nata un’idea così particolare?

È nata da un profondo bisogno, quello di trovare uno spazio che racchiudesse tutto il mio essere. E come non posso immaginare una vita senza musica, non posso immaginare una vita senza vino. Così in Diapason sento oggi convivere e unirsi – come in un accordo musicale – le mie passioni e, anche se potrà suonare un po’ folle, per me è fondamentale ogni sera inondare l’ambiente di musica classica, a cullare le tante bottiglie nel loro naturale invecchiamento. Inoltre, anche la scelta degli arredi, il legno – materia viva come la musica e il vino, con il suo profumo che pervade la stanza – innesca un viaggio a ritroso nella mia adolescenza, mi fa magicamente tornare a quei corridoi del Conservatorio.

Diapason per me è la quadratura del cerchio, ci sono gli strumenti musicali, i piatti di Giovanna, i vini per il ristorante e un mio personale caveaux dove tengo alcune  bottiglie a cui sono particolarmente affezionato. Diapason è un luogo senza confini che mi permette di viaggiare anche quando non posso farlo. Ed è ciò che mi piace trasmettere a tutti gli ospiti che abbiano la curiosità di visitarla.

Cantina vino Diapason a Lampedusa

Siamo curiosi, a quali vini sei particolarmente affezionato?

Temo sempre questa domanda, perché ho paura di dimenticare sempre qualcosa, ma provo a rispondere. Sono affezionato alla mia Sicilia, delle oltre 950 etichette presenti oggi in carta, circa un quarto è dedicato al racconto di quest’Isola che, in termini enologici, rappresenta per me un piccolo continente sfaccettato, circondato dal mare.

Penso ai vini di Tasca d’Almerita, azienda storica a cui sono legato da una profonda amicizia e di cui conservo bellissime verticali, in particolare del loro Chardonnay Vigna San Lorenzo. Penso poi ai vini di De Bartoli, di Arianna Occhipinti, di Aldo Viola, i vini dell’Etna. Poi ci sono le bollicine perché negli anni sono diventato un grande amante dello Champagne, e ancora Francia con le emozioni custodite in alcune rare bottiglie di Chablis o di Bordeaux.

Aldo Viola vino siciliano

Prima hai definito la tua carta come “in divenire”. Oggi si parla molto di vino naturale, qual è il tuo punto di vista?

Come sempre nel mondo del vino, anche il vino naturale l’ho conosciuto attraverso incontri diretti con distributori e produttori, che qui in Sicilia, nel catanese soprattutto sono tanti e sono, ognuno nella sua singolarità, sorprendenti.

Non amo etichettare il mio gusto in una categoria, quindi ad oggi bevo sia vino convenzionale che vino naturale, ma posso dire che il vino naturale sta nutrendo di novità la mia insaziabile curiosità in materia. E per questo si, nella carta del Cavalluccio Marino, ho scelto di creare delle sezioni dedicate proprio a questo tipo di vini includendo nomi storici del movimento come Josko Gravner, Arianna Occhipinti, Aldo Viola e produttori più giovani e sperimentali.

Cantina vino siciliano Lampedusa

Per concludere, quale aggettivo pensi possa meglio descrivere la tua selezione a chi non vi conosce?

Altra domanda difficile, come si fa in una parola? Devono venire a trovarci! Però provando, penso aggettivi importanti siano “eclettico” e “coraggioso”. Una carta eclettica perché capace di appagare il gusto tradizionale attraverso etichette intramontabili e al tempo stesso di stimolare la curiosità degli ospiti offrendo – attraverso vini nuovi ed inusuali – un’esperienza di degustazione che va oltre i confini del classico.

Una carta coraggiosa perché, diciamocelo, gestire oltre 950 referenze in una piccola isola come Lampedusa è una follia.

Ma il vino merita questo ed altro.

Categorie
Cantina

Vini di Sicilia: il far-west del vino siciliano

A dieci anni dalla sua scomparsa, nel dicembre 2021 il comune di Marsala ha intitolato una piazza al grande vignaiolo e artigiano Marco De Bartoli. Perché la storia di Marsala è legata al suo vino, ma anche e soprattutto alla resilienza di chi, come Marco, lo ha custodito percorrendo un percorso “ostinato e contrario” di ricerca e recupero della vinificazione tradizionale, detta perpetua, non fortificata e segnando così per sempre la storia del vino siciliano.

Vento, sale e sole. C’era una volta il vino perpetuo di Marsala
Marsala, il far-west siciliano dove su orizzonti infiniti di mare e saline si affacciano bassi canneti sferzati da un vento costante. Canneti e vigneti, fino quasi alla battigia, bagnati dalle onde salate e resi fertili dalle alghe e dal plancton. Grillo e Catarratto, questi i due vitigni più diffusi e da sempre utilizzati nella produzione in questa zona di un vino ossidativo, alcolico, di lungo invecchiamento. Questo vino, conservato in botte scolma, viene rinnovato nelle annate migliori con vino nuovo nella misura necessaria a colmare la quantità consumata. Un processo idealmente infinito, detto “perpetuo” appunto.

Il Marsala: un’invenzione inglese
È il 1773 l’anno zero del vino Marsala, quando il commerciante inglese John Woodhouse, sbarcato proprio a Marsala, assaggia il vino “perpetuo” tipico della zona, se ne innamora, lo importa nella madrepatria dove riscuote infinito successo, decide di tornare sull’isola dove apre il primo stabilimento atto a produrre ciò che oggi chiamiamo Marsala, il vino locale fortificato dall’aggiunta di acquavite, alla maniera dello Sherry e del Porto.

Che sia realtà o leggenda, sta di fatto che dall’arrivo degli inglesi in poi, la storia del vino a Marsala cambia drasticamente: i contadini diventano semplici conferitori di vino che viene trasformato negli stabilimenti sempre più industriali che vanno via via aumentando lungo la costa. Solo alcuni di loro continuano a produrre il perpetuo per consumo domestico.

Con la diffusione delle cantine sociali, infine, attorno agli anni ’60, il declino qualitativo del Marsala raggiunge il suo culmine. I contadini lavorano solo più per produrre in grande quantità, tralasciando ogni cura verso il territorio e spesso abbandonando anche le botti scolme dei loro nonni.

La visione di De Bartoli: tornare indietro per andare avanti
Nel solco di questo decadimento, deluso dalle esperienze nelle due aziende vinicole di famiglia, nel 1978 Marco De Bartoli si ritira in Contrada Samperi. Appena due anni più tardi l’etichetta Vecchio Samperi esce sul mercato mostrando a tutti la visione di Marco sul futuro del vino di Marsala: tornare indietro per andare avanti, recuperare il perpetuo non fortificato, il vino della tradizione.

Carta vino siciliano a Lampedusa, Samperi

La reazione fu di iniziale scetticismo, ma oggi è chiaro a tutti che se il Marsala ha ancora una storia lo dobbiamo a quel primo imbottigliamento rivoluzionario di trent’anni fa.

Unica modifica introdotta da De Bartoli quella del sistema Soleras tipico del Porto anziché quello a botte singola più diffuso. Un sistema a tre strati sovrapposti di botti, il vino matura nei livelli superiori per periodi più o meno lunghi prima di andare in miscelazione con la “madre” contenuta nel livello inferiore. Un sistema che per il Vecchio

Samperi parte da una fermentazione spontanea, non vede mai l’aggiunta di solfiti e prosegue a cascata per 15 anni fino a che una certa quantità viene prelevata per l’imbottigliamento dando vita ad un nuovo ciclo di miscelazione.

E a sottolinearne lo strappo storico con il Marsala dolce e fortificato nasce l’espressione pre-british, il Marsala prima degli inglesi. Bottiglie rare, il cui valore più grande è il tempo, un esempio? Il Vecchio Samperi “Quarantennale” che celebra i quarant’anni dalla fondazione dell’azienda con una media di invecchiamento in soleras di 40 anni e di cui qualche bottiglia è disponibile nella cantina di Giuseppe.

Carta vino siciliano Lampedusa, Grappoli del Grillo

Il Grillo: un’invenzione siciliana
La visione innovativa di De Bartoli sul futuro di Marsala non si è limitata solo al perpetuo: nella sua cantina nasce nel 1990 Grappoli del Grillo, il primo vino bianco da uve Grillo in purezza prodotto in Sicilia. Nato proprio a Marsala dall’incrocio dell’ampelografo Antonio Mendola tra Zibibbo e Catarratto, il vitigno Grillo univa le migliori caratteristiche delle due varietà e si prestava come una delle uve migliori da utilizzare per produrre la base vino da fortificare grazie al suo buon corredo aromatico, alla maturazione tardiva e all’alto contenuto zuccherino. Rimaneva però sconosciuto ai più nella sua veste autentica ed originale di vitigno bianco: Grappoli del Grillo fu la dimostrazione al mercato dell’epoca delle potenzialità espressive di quest’uva quando lavorata in maniera naturale, contenendo le rese per pianta e curando la selezione dei grappoli uno per uno, da cui il nome dell’etichetta.

Ancora oggi un vino emozionante e profondo, che Giuseppe sarà felice di stapparvi, suggerendovi in abbinamento magari un grande primo di mare curato dalla creatività di chef Giovanna Billeci in cucina.

Carta vino siciliano Lampedusa, Grillo

Con De Bartoli, la nuova scuola marsalese
Infine, come un pioniere nel suo farwest siciliano, il lavoro di De Bartoli ha iniziato ad incuriosire altri produttori della zona che hanno scelto di seguirne l’esempio, proponendo sul mercato ognuno la sua interpretazione di pre-british e scommettendo a loro volta sulla vinificazione naturale di Catarratto, Grillo e Zibibbo ottenuti da vigneti privi di chimica, spesso allevati con il tradizionale sistema ad alberello, contenendo le rese e minimizzando i trattamenti correttivi in cantina.

Così accanto al lavoro della cantina De Bartoli, dove l’eredità del padre Marco è affidata ai figli, oggi a Marsala è importante citare le realtà di Vincenzo Angileri di Vite ad Ovest, Antonino Barraco, Francesco Badalucco di Dos Tierras: tutti nomi che troverete nella carta del vino del ristorante Cavalluccio Marino dove Giuseppe Costa ha scelto di dare particolare spazio a questa rivoluzione della storia e del gusto del vino marsalese.

Lasciatevi guidare dai consigli e dai racconti di Giuseppe per tornare a casa con un’esperienza completa di quello che un territorio come quello di Marsala – con il suo sole, sale e vento – può trasferire in un bicchiere di vino.